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DIANA FRANCO
«Talvolta – ma non accade di frequente –
vedo all’interno di questa luminosità un’altra luce,
che chiamo “Luce Vivente”.
Non so dire quando e come io la veda; ma, allorché la vedo, si allontanano
da me tristezza e dolori, e mi comporto allora con la semplicità di una fanciulla...».
HILDEGARD VON BINGEN, Lettera a Gilberto di Gembloux
a cura di Rino Palma
Formato:210x297
Pagg.216
978-88-7937-616-7
«Il “capannone”, abbattuto in una notte, era una delle meraviglie architettoniche del Novecento a Napoli: il padiglione “Serre botaniche”, realizzato dall’architetto Carlo Cocchia nel 1940 presso la Mostra d’Oltremare di Napoli, da lui restaurato nel 1952 con l’inserimento sulla parte frontale di uno splendido pannello di ceramica di circa 20 metri quadrati, realizzato da Diana Franco».
Rino Palma
«A un certo punto un artista si libera inaspettatamente delle remore e delle convenzioni accademiche che lo hanno bloccato finora, siano esse di carattere tradizionale che avanguardistiche; in questo stadio l’artista si ritrova vergine, a contatto con le forze istintive e misteriose della personalità e del proprio potere creativo, in una parola, dell’istinto che guida inconsciamente i gesti e l’operare artistico. Questo felice momento è accaduto nelle ultime composizioni pittoriche di Diana Franco. Di colpo, infatti, la sua fantasia ha preso il sopravvento e si è imposta energicamente, affermandosi, specie in alcuni dipinti su vetro, che potrebbero definirsi vetrate, ma che in realtà non hanno alcun rapporto con le vetrate di contenuto mistico o laico, sull’esempio, tanto per citare alcune opere, di Chagall, di Rouault, di Matisse, di Braque, di Beckmann...
Nell’opera di Diana […] il contenuto scaturisce da un’ispirazione automatica, selvaggia, che confina addirittura col gioco. […] La tecnica adottata da Diana è, di per sé, un fattore ludico: esprime lo stupore felice dei bambini di fronte alle impreviste e imprevedibili creazioni dettate dall’innocenza immaginativa. La pittura è realizzata su cristalli sovrapposti, sui quali sono incastonati, come in un collage materico, frammenti di vari materiali di quarzo, i quali, oltre al valore cromatico in sé, assumono aspetti e forme imprevedibili, di luminosità, nel contesto di composizioni che somigliano senza volerlo a un notturno, e altri temi di carattere spaziale e atmosferico, che sono frutto di pura astrazione, senza alcun legame con la realtà naturalistica e paesaggistica, sull’esempio di Kandinsky».
Paolo Ricci
«… Ma v’è l’altro recente campo d’indagine che, ancor più – ci pare – si staglia nitido nei suoi contorni di raggiunta esperienza decorativa: ed è la nuovissima prova di una preziosa astrazione, di violento empito barbarico, che rinnova ab imis il linguaggio, immettendolo nella sua sperimentazione sottile e insinuante di materie insuete, di dissonanze aliene rispetto ai vincoli della tradizione».
Raffaello Causa